Manoscritti ebraici copiati a Lecce

MANOSCRITTI

Memoria di un'importante comunità mediterranea medievale

I manoscritti ebraici copiati in area leccese nel corso del XV secolo costituiscono preziose fonti di informazione sulla vita intellettuale della comunità locale e sulle relazioni tra famiglie attive in Puglia. I codici salentini datati e con indicazione del luogo di trascrizione a noi pervenuti sono abbastanza numerosi (almeno negli standard della produzione manoscritta ebraica).

Furono principalmente opera di scribi di origine iberica, provenzale e balcanica e contengono perlopiù trattati medici e scientifici, testi di esegesi della Scrittura e dell’ampia letteratura rabbinica e materiali liturgici.

Niente resta di questa sorprendente produzione nell’area salentina: i codici si possono ammirare oggi a New York, a Mosca, a San Pietroburgo, a Vienna, a Parma… in pratica le più importanti raccolte di codici ebraici di tutto il mondo possono vantare uno o più pezzi copiati nel Salento medievale. Un caso straordinario è quello della Biblioteca nazionale austriaca di Vienna, il cui fondo ebraico è in grande misura costituito da testimoni copiati in Puglia o transitati dalla regione adriatica nel corso del Quattrocento.

L’assenza di documenti ebraici nelle collezioni locali ci ha indotto a servirci dell’ampia mole di dati digitali oggi accessibili su internet per far conoscere alcuni manoscritti che possono essere considerati particolarmente significativi per comprendere approfonditamente l’autopercezione intellettuale dei dotti ebrei salentini del Quattrocento. A tal fine la consultazione dei singoli codici viene accompagnata da note illustrative che permetteranno ai visitatori di contestualizzare i manufatti.

La produzione di manoscritti ebraici in Puglia pare affermarsi con sorprendente vigore soprattutto nel periodo del dominio aragonese su Napoli (seconda metà del XV secolo), ma già nell’ultima fase dell’età angioina (fine XIV – prima metà del XV secolo) il centro di Lecce assunse particolare rilievo culturale, quando giunsero in Salento nuove ondate di profughi sfuggiti alle persecuzioni e alle conversioni forzate in Catalogna e Provenza. Proprio a queste prime fasi dell’insediamento ebraico quattrocentesco nell’area adriatica meridionale si devono i primi esemplari manoscritti a noi pervenuti. Si tratta di opere perlopiù finalizzate all’uso personale da dotti che si spostavano frequentemente per l’instabilità delle condizioni politiche delle regioni in cui cercavano di trovare dimora. Molti di loro esercitavano la professione medica e nelle nuove sedi pugliesi riuscirono a ricostituire la vivacità culturale che si era perduta nei secoli precedenti, riavviando valide istituzioni scolastiche in cui da allora in poi avrebbero operato maestri provenienti perlopiù dall’area iberico-provenzale.

Per gli studenti di tali accademie furono composti testi finalizzati all’istruzione nelle varie discipline dei curricula di studi più comuni dell’ebraismo sefardita contemporaneo. Poiché, come si è detto, molti degli allievi appartenevano a famiglie di medici ed erano essi stessi destinati alla pratica ippocratica, un discreto numero di copie, eseguite all’interno delle scuole o per uso personale nell’ambito famigliare, verteva su argomenti di medicina o su discipline tradizionalmente associate ad essa (astronomia, astrologia, matematica, scienze naturali…). Spesso si utilizzarono traduzioni ebraiche di testi in origine composti in arabo o in latino; per le stesse finalità didattiche vennero approntati lessici di terminologia medica e farmaceutica in più lingue (anche vernacolari).

Tra le principali famiglie sefardite che operarono nel territorio pugliese e che ebbero base principale a Lecce si distinsero i De Balmes: i più noti sono i due Avrahàm, nonno (ca. 1420 – 1489) e nipote (ca. 1470 – ca. 1523). Al primo si deve una cospicua committenza intellettuale che produsse un ampio numero di manoscritti copiati soprattutto nell’area salentina. Ma la sua collezione libraria doveva consistere anche di codici importati in Puglia da sedi precedenti.

Un esempio significativo di questa seconda tipologia è il manoscritto 2601 (Adler 1743) del Jewish Theological Seminary of America di New York. Il codice contiene una miscellanea di trattati astrologici e astronomici (discipline finalizzate in età medievale soprattutto allo studio della medicina), copiati da varie mani, in grafie ebraiche provenzali e italiane quattrocentesche. La prima parte del codice è opera di uno scriba attivo a Lecce nella seconda metà del XV secolo che ha eseguito anche un altro manoscritto, oggi conservato alla Biblioteca nazionale di Parigi (hébr. 1073). Alla c. 89v si trova un elenco di opere ebraiche che appartenevano al proprietario. È interessante che il redattore dell’elenco menzioni un certo Rabbì Dawìd che avrebbe preso (in prestito?) due opere della sua collezione: potrebbe trattarsi del celebre astrologo Dawìd Qalònimos, che sappiamo in rapporto con i De Balmes.

Insieme all’elenco dei libri compare un registro in cui lo scrivente ricorda che Moshè nacque nel 1440, Me’ìr nel 1442 e Astrùc nel 1444. Poiché questi sono i nomi dei figli di Avrahàm De Balmes senior non c’è dubbio che sia lui l’autore delle note; dato che la grafia del registro è la stessa che ha vergato l’elenco dei libri, la collezione è necessariamente quella dell’illustre medico leccese di cui abbiamo qui un documento autografo. La scrittura sefardita provenzale ci permette di comprendere come la formazione del De Balmes fosse avvenuta nella Francia meridionale prima del suo trasferimento nell’Italia meridionale.

L’elenco dei libri rivela la varietà di interessi culturali del proprietario, che associa opere filosofiche e scientifiche a testi biblici e rabbinici. È interessante che la lista distingua i codici per soggetto: Bibbie, libri liturgici, commenti e grammatiche biblici, letteratura rabbinica e commenti talmudici, filosofia e scienze, per un totale di 78 titoli.

Compaiono alcuni libri di preghiere “secondo l’ordine (sèder) di Lecce”. Si tratta dell’unica testimonianza nota dell’esistenza di un rito specifico seguito dagli ebrei leccesi. Era questo il minhàg secondo cui pregava la comunità che si riuniva nella sinagoga che un tempo sorgeva nel luogo di Palazzo Personè?

l manoscritto ora a New York contiene: cc. 1-72: Abu Màshar, Mavò ha-gadòl le-hokhmàt ha-tekhunà (Introduzione alla scienza dell’astronomia); cc. 73~80: Elenco di costellazioni; cc. 81-82: Arnaldo da Villanova, De judiciis astronomiae, compendiato dal traduttore, Ya’aqòv ben Yehudà Cabret; cc. 83-85: Pseudo-Ippocrate, De esse aegrotorum secundum lunam, traduzione ebraica di Le’òn Yosèf; cc. 86-88: Sèfer ha-tequfà (Libro del calcolo dei tempi); c. 89v: elenco di manoscritti; cc. 90-147a: Levì ben Avrahàm, Sèfer ha-kollèl (Libro completo), capp. 36-40; cc. 147-151: Arnaldo da Villanova, De judiciis astronomiae, traduzione di Sol Avigdor; c. 152: Immanuel Bonfils, Bi’ùr mo’aznè Hanòkh (Commento alla Bilancia di Enoch); cc. 153-155: Tolomeo, Sèfer ha-perì (Libro del frutto = Centiloquium), traduzione ebraica di Ya’aqòv ben Eliyyà.

Tra gli argomenti che un medico doveva conoscere in età medievale era di primaria importanza l’astronomia e il rapporto del macrocosmo con i singoli individui, per la cura dei quali era certamente di aiuto l’interpretazione dei segni derivante dall’osservazione dei corpi celesti.

L’arte di Ippocrate si trasmetteva all’interno delle famiglie ebraiche di padre in figlio, di nonno in nipote, e lo studio dei testi ebraici permetteva ai discenti di padroneggiare la disciplina nella loro lingua identitaria. In realtà essi parlavano varie lingue ed erano perfettamente in grado di studiare i testi latini e volgari che costituivano la base del curriculum universitario. Tuttavia, poiché le facoltà mediche erano sotto l’egida della Chiesa, i non cristiani spesso potevano solo recarvisi per sostenere gli esami, da “privatisti”. Per questo ali ebrei era necessario disporre di biblioteche mediche autonome, che si trattasse di collezioni di scuole interne alle comunità o di ambito famigliare.

Di Avrahàm de Balmes junior ci rimane lo straordinario documento, unico del suo genere, del suo diploma di doctor artium et medicinae conseguito presso lo Studium di Napoli il 4 luglio del 1492.

La splendida pergamena fa oggi parte della collezione Braginsky di Zurigo.

In basso a destra si osserva un’elegante decorazione araldica, uno scudo con una mano che regge una palma, richiamo evidente al nome di famiglia del laureato (spesso latinizzato in De Palmis).

Il manoscritto newyorkese mostra come le collezioni ebraiche salentine siano state disperse nel corso del tempo.

Un codice miscellaneo conservato a Mosca, certamente appartenuto ad Avrahàm De Balmes senior, contiene testi medici in traduzione ebraica, lessici multilingui e materiali scientifici finalizzati allo studio della medicina.

La miscellanea è contenuta nell’attuale manoscritto Mosca, Biblioteca statale russa, Günzburg 573. Vi si osservano tre mani ebraiche diverse, di cui due degli scribi ben noti Yesh’ayàhu ben Dawìd ha-Kohèn e Ya‘aqòv ben Avrahàm ha-Kohèn, attivi in Salento.

Il manoscritto contiene: cc.  1-126: Avicenna, Canone, primo libro; cc. 126-129: Guglielmo da Saliceto; cc. 129-131: Rhazes, Hanhagàt ha-ne‘arìm (La guida degli adolescenti);  cc. 132-257: Avicenna, Canone, secondo libro, traduzione di Natàn ha-Me’atì (mancante della fine che forse si conserva in una miscellanea oggi alla Bodleian Library di Oxford, datata 1441 e trascritta da Amòn bar Yitzchàq Yaqo? A Lecce; quindi sarebbe lui il terzo scriba); cc. 258-396: Ibn Wafid, Sèfer ha-samìm ha-nifradìm (Libro dei semplici); nota di possesso di “ha-tza’ìr [il giovane] Natàn Nòach” alla c. 129v.

Il primo colophon è alla c. 126v: “Ho completato il primo libro del Canone di Ben Sina, io Ya‘aqòv bar Avrahàm Kohèn qui Lecce il 27 del mese di Iyyàr dell’anno 201 [=1441]. secondo il computo minore.” Alle cc. 258v e 296v si legge: “Completato il libro composto da Ibn Wafid dei semplici, lode al Signore. La scrittura di questo libro è stata completata qui a Taranto per il saggio universale… Mastro Avrahàm, che Dio lo protegga, De Balmes, il 15 del mese di Shevàt, nell’anno “chi confida nel Signore” [= 225 / 1465] … per mano di Yesh’ayà Kohèn bar Dawìd Kohèn, la pace sia con lui.”

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